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In Italia si stima che circa un milione di persone sia affetta da demenza e di queste circa 600mila soffrano della malattia di Alzheimer. Ogni anno si registrano 150mila nuovi casi di demenza. Nel mondo, questa patologia colpisce 85 milioni di persone, ma in proiezione questa cifra potrebbe quadruplicare nei prossimi 30 anni.

Il morbo di Alzheimer (AD) è una malattia neurodegenerativa che causa una progressiva perdita delle funzioni cognitive nell’anziano, cancellando le capacità e i ricordi di una vita e mettendo a dura prova la resistenza fisica ed emotiva di chi lo affianca. Nonostante la sua grande diffusione non esistono ad oggi test biochimici che permettano una diagnosi univoca e, nella grande maggioranza dei casi ci si affida a test clinici di tipo neurologico. Questo approccio tuttavia permette solo una diagnosi molto tardiva quando le funzioni cognitive sono ormai gravemente compromessa e l’efficacia delle cure non può che essere limitata. Una rilevazione precoce delle sostanze “spia” (biomarcatori) dell’Alzheimer potrebbe permettere un radicale cambio di approccio clinico, dato che i pazienti diagnosticati come portatori di AD potrebbero iniziare una terapia farmacologica prima di quando le funzioni cerebrali siano definitivamente compromesse.

La Fondazione Don Gnocchi sta sviluppando metodi innovativi di rilevazione dei biomarcatori di malattia attraverso l’utilizzo delle più avanzate metodologie – nanotecnologie e biofotonica – mediate dalla ricerca di frontiera in fisica, chimica, biotecnologie e medicina, che permetteranno di progettare test per la diagnosi precoce dell’Alzheimer. L’obiettivo è credibile in quanto la ricerca, con chiaro scopo applicativo, viene svolta in un contesto di rete internazionale con centri clinici, di alta tecnologia e con un occhio di riguardo, fin dall’inizio, all’effettivo trasferibilità dei ritrovati in futuri prodotti alla portata di tutti.

Per raggiungere tale obiettivo la Don Gnocchi affianca a esperti e ricercatori di profilo internazionale, giovani ricercatori disposti a crescere rapidamente nel loro ruolo, a condividere idee e fare da tramite in collaborazioni tra i più avanzati istituti clinici e di ricerca del continente, rimanendo però saldamente ancorati al nostro Paese, per un miglioramento della qualità di vita dei nostri anziani e dei loro cari e mantenendo in Italia il patrimonio di conoscenze su cui abbiamo investito.

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